Nonostante la psicologia scientifica avesse maturato nel corso degli anni varietà di articolazioni e possibilità di sviluppo, alla fine della guerra si ritrovò fascistizzata, impoverita e marginalizzata. Erano gli stessi specialisti del settore a definirla “tradizionalista e arretrata” e rinchiusa nel ristretto perimetro psicotecnico (il neuropsichiatra infantile Giovanni Bollea), oppure vittima del “connubio idealistico-fascista” (gli psicologi Mario Ponzo e Alberto Marzi). Dopo tanta autarchia e la convinzione (in particolare di Agostino Gemelli) di puntare sul fascismo come alleato per lo sviluppo della psicologia, il risultato era un vuoto di saperi e di risorse umane, in cui si dibattevano tutti, sostenitori e oppositori del regime. Dall’aprile 1936, quando si era tenuto a Roma l’VIII Convegno nazionale degli psicologi italiani, la Società italiana di psicologia tornò a riunirsi solo 15 anni dopo, nel 1951 a Roma. Nell’università pubblica, luogo deputato alla formazione e alla ricerca, le difficoltà erano lampanti: alla psicologia era rimasta una sola cattedra, a Roma con Ponzo (dal 1931); le altre, istituite a Torino e Napoli nel 1906 e a Padova nel 1919, si erano lasciate estinguere: per decesso quella di Vittorio Benussi (suicidatosi nel 1927), per pensionamento quelle di Federico Kiesow (1933) e Cesare Colucci (1937). Risale invece al 1947 il bando per una nuova cattedra all’Università statale di Milano, assegnata presso la Facoltà di lettere a Cesare Musatti con l’aiuto di Gemelli. Per uscire da questa situazione, si iniziò a recuperare la molteplicità di approcci e campi di ricerca che avevano caratterizzato la psicologia italiana fin dai suoi esordi e a cercare nuovi riferimenti all’estero: dalla Francia alla Svizzera, dall’Inghilterra agli Stati Uniti. Contemporaneamente, si avviò una frenetica attività per costruire istituzioni – fino a quel momento nate in maniera disorganica e spesso fuori del quadro normativo – e per formare il personale che avrebbe dovuto lavorarvi.
Nell’ottica di un intervento precoce, in un contesto caratterizzato dalla preoccupazione per i danni materiali e i traumi prodotti dalla guerra, particolarmente attivo fu il settore dell’infanzia. Attraverso le Semaines internationales d’étude pour l’enfance victime de la guerre (Sepeg) – promosse dal Dono svizzero, struttura di coordinamento delle organizzazioni assistenziali elvetiche – fu propagandato a livello europeo un modello medico-psico-pedagogico che auspicava l’intervento d’equipe multiprofessionali, composte da psichiatri infantili, psicologi, psicoanalisti e assistenti sociali, in strutture realizzate sull’esempio delle Child guidance clinic statunitensi. A specialisti di discipline mediche, psicologiche, sociali, pedagogiche e alle organizzazioni educative e assistenziali dei paesi devastati dalla guerra, le Sepeg offrirono occasioni di incontro e approfondimento con corsi e convegni in varie parti d’Europa (Zurigo, Grenoble, Buchenau, Varsavia, Basilea, Losanna) compresa l’Italia (Rimini, Roma, Milano, Napoli, Cagliari, Firenze). Tra i protagonisti italiani di tale movimento vi furono Maria Elvira Berrini, Marcella Balconi e Giovani Bollea, che si formarono con Oscar Forel, Lucien Bovet, André Repond, Jean Piaget, Georges Heuyer, per poi riportare nel contesto italiano i modelli teorici e pratici appresi all’estero.
Sempre in questo ambito nacquero, tra il 1946 e il 1948, associazioni come la Società italiana per l’assistenza medico-psico-pedagogica ai minorati dell’età evolutiva (Siame), presieduta da Giuseppe Ferruccio Montesano, e scuole laiche per assistenti sociali in cui si impegnarono anche gli psicologi con vari insegnamenti: a Roma il Centro per l’educazione professionale degli assistenti sociali (Cepas) e la Scuola nazionale per dirigenti del lavoro sociale, fondate rispettivamente da Guido Calogero, da sua moglie Maria Comandini e da Mario Ponzo; a Firenze la Scuola di servizio sociale sorta su iniziativa di un gruppo di docenti universitari; a Milano la Scuola nazionale per assistenti sociali del lavoro aderente all’Unsas. Importante in tale contesto, anche per lo sviluppo della psicologia, fu il Convegno per studi di assistenti sociali che si tenne a Tremezzo (Como) dal 16 settembre al 6 ottobre 1946. Qui, secondo il ricordo di Adriano Ossicini, Ponzo, Perrotti e Musatti sottolinearono la necessità di adottare nuove forme di organizzazione della psicologia in Italia. Più in generale, auspicarono un nuovo impulso all’insegnamento universitario della disciplina, con aperture anche verso la psicologia clinica, la psicologia dinamica e la psicoanalisi.
Preparazione professionale all’assistenza sociale. Un’umanissima istituzione – Cosa sono e cosa fanno le assistenti sociali (Archivio Storico Luce, La Settimana Incom, 26 dicembre 1956).
Anche la psicoanalisi riprese ad avanzare, in particolare attraverso i contatti tra Nicola Perrotti (negli anni 1947-1948 alto commissario per l’igiene e la sanità pubblica del Ministero della sanità), Cesare Musatti ed Emilio Servadio. Nell’ottobre 1946, durante il primo Congresso italiano di psicoanalisi che si tenne a Roma, si ricostituì la Società psicoanalitica italiana, che l’anno successivo si dotò di un nuovo statuto e stabilì la propria sede nella capitale. Fondata nel 1925 per volontà dello psichiatra Marco Levi Bianchini, dopo alterne vicende era stata sciolta nel 1938 con la motivazione ufficiale di essere affiliata, da due anni, all’International Psychoanalytical Association (Ipa) e sospettata di svolgere attività politica clandestina. Nel 1949 uscì poi per Einaudi, in due volumi, il Trattato di psicoanalisi di Cesare Musatti, che lo accreditò come il padre della psicoanalisi freudiana in Italia. La Rivista di psicoanalisi riprese le pubblicazioni nel 1955, con Musatti direttore e condirettori Perrotti, Servadio e la principessa Alessandra Tomasi Di Palma; la redazione aveva sede presso l’Istituto di psicologia dell’Università di Milano, diretto dallo stesso Musatti, ed era composta da Franco Angelini, Benedetto Bartoleschi, Lydia Zaccaria Garinger, Maria Elvira Berrini, Franco Fornari, Pietro Veltri, Giancarlo Zapparoli, Egon Molinari e Francesco Corrao. La precedente Rivista italiana di psicoanalisi, prima pubblicazione periodica italiana dedicata esclusivamente a tale materia, era potuta uscire soltanto tra il 1932 e il 1933, perché il regime non le aveva più rinnovato la licenza editoriale.
Autorità politiche e specialisti al primo Congresso nazionale della Società psicoanalitica italiana, svoltosi nell’ottobre 1946 presso l’aula della Clinica medica dell’Università di Roma sotto la presidenza di Nicola Perrotti. Alla cattedra da sinistra Mario Ponzo, Nicola Perrotti, Emilio Servadio; l’oratore è probabilmente Lelio Basso; seduti in prima fila, da sinistra verso destra, Giuseppe Romita e Fausto Gullo (© Archivio Storico Istituto Luce).
L’interesse nei confronti della psicologia del lavoro non si spense e riprese in diversi contesti. Un Consultorio universitario per l’orientamento professionale (Cuop) fu aperto a Firenze nel 1945 su iniziativa dell’Istituto di psicologia dell’Università fiorentina, diretto da Alberto Marzi, in accordo con l’Associazione aiuti ed assistenti universitari e con l’Interfacoltà. Nel 1947 Angiola Massucco Costa andò a dirigere il Centro di orientamento e di selezione professionale di Torino, dipendente dal Comune. A Ivrea gli interessi di Adriano Olivetti nel campo psicologico portarono, dopo vari passaggi iniziati negli anni Quaranta, alla creazione, nel 1955, di un Centro di psicologia del lavoro, dove lavorarono Emanuele Di Castro dal 1956, Silvano Del Lungo, Renato Rozzi dal 1961, e poco dopo Musatti, che rientrò all’Olivetti come consulente e coordinatore scientifico.
Luigi Meschieri mentre svolge applicazioni e test attitudinali con personale della Guardia di finanza presso l’Istituto nazionale di psicologia del Centro nazionale delle ricerche, s.d. Tali ricerche in campo applicativo erano spesso richieste da enti e istituzioni che si trovavano ad affrontare le difficoltà della ricostruzione post-bellica (Archivio L. Meschieri).
Il Centro di orientamento e selezione professionale diretto da Angiola Massucco Costa a Torino (Archivio Storico Luce, La Settimana Incom, 14 dicembre 1951).
Anche la Lega italiana di igiene e profilassi mentale si riorganizzò, cercando di lasciarsi alle spalle gli anni del fascismo e l’appiattimento su una visione genetica della prevenzione per aprirsi a nuovi riferimenti, soprattutto anglosassoni, e alla valutazione dell’individuo nella sua complessità biopsicosociale. Principale animatore del movimento fu lo psichiatra e dal 1955 libero docente in neuropsichiatra infantile, Carlo De Sanctis, figlio di Sante. Riprendendo idee che affondavano le radici nei primi anni del Novecento e si erano poi sviluppate tra le due guerre, la Lega promosse su tutto il territorio italiano, con notevoli risultati, una rete di centri per la profilassi e la psicoigiene alternativi al manicomio: nel 1960, su 95 province, 61 avevano tali servizi, dove ben presto iniziarono a lavorare, soprattutto in quelli dedicati all’infanzia, anche psicologi e psicoanalisti.
Sempre in questo periodo, ancora in un’ottica educativa e preventiva, sorsero in varie parti d’Italia centri prematrimoniali e matrimoniali, non solo basati su una cosiddetta nuova eugenetica, che doveva tenere conto delle scelte individuali per la prevenzione delle malattie ereditarie, ma anche aperti ai problemi delle relazioni familiari, sul modello inglese dei Marriage guidance councils, con attività di consulenza per le coppie e didattiche.
Centro di guida matrimoniale, aperto da Dino Origlia nel 1948 a Torino (Archivio Storico Luce, La Settimana Incom, 20 gennaio 1949).
Si era intanto avviato, grazie a Fabio Metelli (a Padova) e a Gaetano Kanizsa (a Trieste), un percorso che avrebbe portato la teoria della Gestalt a ricoprire un ruolo egemonico nella psicologia italiana del secondo dopoguerra. Decisivo nello sviluppo di tale movimento era stato tra le due guerre Cesare Musatti, maestro di Metelli e Kanizsa, che sostituendo lo scomparso Vittorio Benussi all’Università di Padova – nei vari ruoli ricoperti, ma senza essere strutturato – aveva messo in campo un complesso processo di elaborazione teorica volto a conciliare il punto di vista di Benussi con quello dei gestaltisti. Attraverso Wolfgang Metzger, assiduo frequentatore di seminari a Padova, Trieste e Bologna, i seguaci italiani della Gestalttheorie si legarono poi sempre più ai modelli berlinesi. Nell’orbita gestalista sarebbero entrati ricercatori di diversa estrazione, come il gruppo bolognese di Renzo Canestrari, con cui collaboravano Marino Bosinelli e Gian Franco Minguzzi.
A partire da questo momento si aprirono nuove prospettive di sviluppo, anche se perdurarono complessi rapporti con il marxismo e la Chiesa cattolica.